Sfogliando il catalogo della mostra Spoleto Arte 2012, a cura di Vittorio Sgarbi, tra i dipinti pubblicati risaltano numerose opere dell’artista Maria Savino datate tra il 2009 e il 2012, che riguardano proprio la produzione di quest’ultimo triennio; in esse l’artista si muove a suo agio tra la pittura informale pregna di materia, grumi, lievitazioni e composizioni giocate sulla morbidezza del segno con intarsi di colore, come nei dipinti intitolati Confini 2012, Entropia 2011-12, Luce 2012, eseguiti con tecnica mista su tavola o tela, dove la pittrice predilige forme curvilinee che si inseriscono l’una nell’altra delimitandosi e potenziandosi vicendevolmente. Gillo Dorfles, sempre attento e puntuale nell’individuare nuovi talenti, nel commentare alcuni dei dipinti della Savino esposti a Spoleto afferma: ‘’Nelle sue opere vi è traccia dell’informale, da lei rivisto e collocato in una dimensione assolutamente personalizzata (…) le opere della Savino lasciano ampio spazio alla libera interpretazione che da sempre considero alla base di ogni espressione artistica e che perseguo anche nella mia produzione”. In questa mostra a Milano ricompaiono due significative opere del ciclo Stratificazioni 2012, in cui l’artista inserisce sulla tela in basso un elemento di contrasto, in una la fotografia di una bimba, nell’altra la copertina del volume de La Sacra Bibbia: dall’alto la materia scura e minacciosa si espande su gran parte della superficie, scendendo a coprire parzialmente la fotografia e il libro posti su fondi luminosi, quasi a voler cancellare come magma vulcanico ogni loro traccia, ma il volto della bimba che simboleggia l’innocenza, la purezza, la speranza è salvo così come è risparmiato il libro sacro che racchiude la sapienza umana in comunione con il Divino.In altre composizioni dominate solo apparentemente dal buio, dai titoli emblematici Di-speranza, la luce che squarcia le tenebre, rappresentata da strisce di giallo o di blu distese come sentieri luminosi da seguire, assurge a vera protagonista; le tonalità scure sembrano così illuminarsi pervase da una “luce” edificante. Sgarbi nel citare Juan de la Cruz ( Doctor Mysticus ), nel suo testo sulla Savino, certamente ha pensato alla poesia Noche oscura e all’opera poetica Subida del Monte Carmelo, in cui il mistico spagnolo, vissuto ai tempi della Riforma e della Controriforma, descrive il viaggio dell’anima dalla propria sede corporea verso l’unione con il Creatore. La Savino nel suo percorso artistico ha affrontato tematiche serie che affliggono il mondo contemporaneo: il consumismo sfrenato della nostra società occidentale in cui, come recita un detto dell’umorista scrittore Marcello Marchesi “il tutto non basta più”; la salvaguardia dell’ambiente con le ferite inflitte al pianeta Terra per biechi profitti economici; la decadenza del linguaggio e il nostro disinteresse nell’approfondire la conoscenza tra i popoli, malgrado le più avanzate e sofisticate tecnologie di comunicazione oggi disponibili. Ecco allora che le originali creazioni della Savino oltre che apprezzabili per il loro valore artistico vanno anche intese come moniti al nostro modo di agire, inducendoci a riflettere sulla complessità e sulle contraddizioni della vita contemporanea. In Parole inglobate 2012, riprende il tema dell’uso superficiale e ripetitivo delle parole nei messaggi quotidiani dei mass-media, parole svuotate e ripetute meccanicamente che hanno perso il loro intrinseco valore e significato espressivo degno di un vero e profondo dialogo umano: in questo dipinto il giardino, che rischia di essere sopraffatto dal magma, è un richiamo alla bellezza del vivere seguendo la natura in un’atmosfera di vera sincerità comunicativa. Nell’opera monocromatica Of the Wall 2012, Savino con la scritta “coesistenza”, che spicca su un muro nero, lancia un messaggio di solidarietà affinché i confini tra stati e nazioni non presuppongano avversità e chiusure mentali, bensì favoriscano una pacifica convivenza nel rispetto e nel positivo apporto reciproco. In Madre natura 2009, un dipinto informale di grande suggestione cromatica che si riallaccia alla tradizione pittorica lombarda e in particolare alla pittura denominata Naturalismo Padano, di cui Francesco Arcangeli negli anni Cinquanta fu il vero padre intellettuale, la pittrice evidenzia il desiderio, la necessità di recuperare il rapporto fisico con la natura, con la vitalità della terra che sempre si rinnova nella sua feconda forza generativa: “Natura è la cosa immensa che non vi dà tregua, perché la sentite vivere tremando fuori, entro di voi: strato profondo di passione e di sensi, felicità, tormento”. La pittura di Maria Savino nei suoi contrasti tra tenebre e luce induce a meditare, ma con conforto invita anche a sperare, richiamando alla mente il buio a cui fa riferimento il sonetto di Michelangelo “Perché Febo non torce e non distende”, che termina con il memorabile verso “C’una lucciola sol gli può far guerra”.
Catturare la luce